Per eliminare il divario retributivo di genere (in inglese gender pay gap), la trasparenza retributiva è stata inserita come priorità nella Strategia europea per la parità di genere 2020 – 2025, sulla base del fatto che, quando si dispone di informazioni sui livelli salariali, è più facile individuare le differenze e le discriminazioni.
La parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici, per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, è un principio fondamentale dell’Unione Europea, sancito dall’art. 157 del TFEU e dalla Direttiva UE 2006/54/CE, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.
Il 10 maggio del 2023 è stata pubblicata, sulla gazzetta Ufficiale dell’Unione, la Direttiva 2023/970 del Parlamento e del Consiglio, ove viene evidenziato, nel considerando n. 11, che: l’applicazione del principio della parità di retribuzione è ostacolata dalla mancanza di trasparenza nei sistemi retributivi, di certezza giuridica sul concetto di lavoro di pari valore e da ostacoli procedurali incontrati dalle vittime di discriminazione; i lavoratori non dispongono delle informazioni necessarie per presentare un ricorso in materia di parità di retribuzione che abbia buone possibilità di successo e, in particolare, delle informazioni sui livelli retributivi; una maggiore trasparenza consentirebbe di rivelare pregiudizi e discriminazioni di genere nelle strutture retributive di un’impresa o di un’organizzazione e di intervenire adeguatamente per garantire l’applicazione del diritto alla parità di retribuzione.
La Direttiva 2023/1970 individua un periodo di tre anni, fino al 7 giugno 2026, durante il quale gli Stati membri dovranno adeguare le proprie disposizioni legislative e regolatorie.
I datori di lavoro dovranno essere messi nella condizione di poter applicare sistemi retributivi equi e di poter valutare il personale in modo neutro, relativamente al genere.
Non si dovrà guardare unicamente all’equità nella retribuzione oraria lorda; poiché non è solo lì che si verifica il divario retributivo di genere, ma anche nei premi di produzione e di risultato, nel tempo dedicato al lavoro (la donna ha maggiori carichi familiari), nella segregazione orizzontale (lavori delle donne mal retribuiti e sottovalutati) e verticale (le lavoratrici si trovano spesso nelle fasce retributive più basse dell’organigramma).
Confrontare le retribuzioni orarie, in un sistema come quello italiano, dove le retribuzioni di base sono stabilite nei contratti collettivi, per ciascun settore, porta a un basso divario tra uomo e donna.
Se un uomo e una donna svolgono la stessa mansione, in base ai contratti collettivi, hanno la stessa retribuzione di base, ma la differenza potrebbe riguardare i superminimi negoziati individualmente, occorrerà allora individuare criteri di trasparenza, per consentire un controllo da parte dei lavoratori, delle lavoratrici e dei sindacati; se svolgono mansioni diverse, ma di pari valore, per evitare differenze bisognerà valutare le mansioni in modo neutro rispetto al genere e modificare le classificazioni, oltre che individuare criteri di valutazione delle competenze maturate dai lavoratori e dalle lavoratrici, ai fini di un’attribuzione trasparente e oggettiva dei superminimi e della progressione di carriera e di una retribuzione collegata al merito.
Vedremo come il legislatore e le parti sociali in Italia faranno propri gli obiettivi della Direttiva, intanto comincino le organizzazioni, in modo virtuoso, ad analizzare e implementare la trasparenza ed equità retributiva.